Zannini, da avvocato a vittima: «Così il clan La Torre ha tentato di estorcermi».
Il consigliere regionale in aula, ricostruiti i momenti di terrore: «Li ho denunciati per senso di giustizia».
MONDRAGONE / CALVI RISORTA / SANTA MARIA CAPUA VETERE (EZ – redazione giudiziaria TCe) – Il consigliere regionale Giovanni Zannini è stato chiamato a testimoniare davanti alla prima sezione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, presieduta da Giovanni Caparco (di Calvi Risorta), in merito alla tentata estorsione subita per mano di Francesco Tiberio La Torre, esponente della camorra di Mondragone e cugino del boss Augusto La Torre.
Zannini, che nei mesi scorsi ha denunciato e fatto arrestare La Torre, ha ricostruito la giornata dell’8 maggio 2024, quando sarebbe avvenuta la richiesta di 50mila euro all’imprenditore Pasquale Campoli, vicino a Zannini. La somma, presentata come risarcimento per una presunta mancata difesa di La Torre da parte di Zannini in qualità di avvocato, doveva essere consegnata entro poche ore, pena la minaccia di morte nei confronti del consigliere regionale.
Le minacce, riferite da Campoli a Zannini, sono state riportate da quest’ultimo durante la sua testimonianza davanti al pm della Dda di Napoli, Maurizio Giordano. Zannini ha inoltre raccontato di aver consigliato a Pasquale Campoli e a suo padre Alfredo di recarsi insieme dai carabinieri per denunciare l’accaduto, suggerendo a quest’ultimo di raccontare anche precedenti richieste estorsive da parte di La Torre.
Scintille ci sono state in aula durante il controesame di Zannini da parte dell’avvocato Carlo De Stavola, difensore di La Torre. Zannini ha anche ripercorso i rapporti avuti con Francesco Tiberio La Torre, che il consigliere, in quanto avvocato penalista, difese in passato.
«Sono stato l’avvocato difensore di Francesco Tiberio La Torre fino poco dopo il 2015 – ha raccontato Zannini – quando sono stato eletto per la prima volta consigliere regionale, e poi non l’ho seguito, anche perché sono sopravvenute chiare divergenze sulla linea difensiva da tenere. Lui pensava si potesse puntare all’assoluzione, io invece sostenevo che bisognasse tenere una linea difensiva chiara in processi penali già chiusisi con condanne ad altri imputati, quindi suggerivo un’ammissione di colpa con richiesta di abbreviato e cercare di evitare così l’ergastolo».
Divergenze che provocarono anche l’aggressione a Zannini da parte di Antonio La Torre, figlio di Francesco Tiberio. «I primi attriti, però– ha spiegato Zannini –risalgono al 2010 quando Antonio, mentre stavo al lido Sinuessa, e ballavo perché c’era una festa, venne verso di me e mi tirò uno schiaffo davanti a tutti, si allontanò e nel guadagnare l’uscita spaccò una cassa. Si creò il panico sul lido, la sala si svuotò. Io uscì fuori e lui mi lanciò una pietra, poi mi venne incontro cercando di aggredirmi, ma io, dopo aver preso un casco da un motorino lì parcheggiato, glielo lanciai colpendolo alla testa, procurandogli una ferita al capo tanto che furono necessari diversi punti di sutura.
Antonio La Torre in quella occasione mi accusò di non aver difenso adeguatamente il padre, non presentando una richiesta di abbreviato in uno dei processi, ma il problema di fondo era sempre la divergenza di vedute sulla linea difensiva. Non uscii per giorni dopo l’accaduto perché avevo paura delle conseguenze e poi chiarii con lui, con Antonio. I rapporti erano sereni, ci sentivamo per messaggio, mi raccontava di sé e mi sembrava proiettato verso una vita diversa da quella intrapresa dal padre».