«Sinistri eroi» distrussero il mostro che minacciava Teano. Ma «in Pino Veritas»: l’albero era storia si chiamava Mussolini.

Ma si è fatto notare nel momento politico sbagliato come albero identitario. Rappresenta l’italianità e purtroppo per lui: il ventennio fascista.
TEANO (Elio Zanni) – 27 febbraio 2025, che mattinata. Non le migliaia d’invocazioni provenienti dai cittadini che per una volta avevano preso coraggio sul web. E parlavano, parlavano, parlavano. Non le speranze d’ingenue romantiche signore affacciate al balcone dei loro smartphone e nemmeno le voci col passaparola dei collezionisti dei simboli della storica Teanum Sidicinum: nulla poté salvare il Pino d’Ospedale. E così fu la fine per l’albero quasi centenario… popolarmente indicato come risalente al 1941. Si, perchè lo si vuole come piantato durante una cerimonia comunale in ricordo di Bruno Mussolini, aviatore italiano morto in un incidente aereo, figlio terzogenito di Benito Mussolini e di Rachele Guidi, e di cui ora rimane solo un tronco di circa tre metri. Ma lasciamo volentieri queste ricerche ai giornali specializzati e alle riviste storiche, visto che più di una fonte arretra addirittura la storia del Pino di via Roma fino al 1932 quando anche a Teano si tennero le celebrazioni in onore di Arnaldo Mussolini (scomparso il 21 dicembre 1931), fratello del duce e presidente del Comitato nazionale forestale. VIDEO UN PINO DI NOME ARNALDO.
Tornando su un terreno cronologicamente meno scivoloso e a parte il nome che avesse (Bruno o Arnaldo), sicuramente per i contemporanei il Pino dell’Ospedale rappresentava decenni d’incuria verso il verde pubblico e adesso, legalmente bollato come pericoloso – perchè aveva chinato il capo sotto il peso della chioma – marchiato a fuoco come il «mostro di via Roma» doveva essere eliminato. E sarà pure una coincidenza temporale, ma l’episodio di taglio ricade comunque nel quinquennio (non ancora terminato) che ha già visto tagliate e pure distrutte le magnolie di via 26 ottobre, i Platani di viale Itala presi dal fuoco e marchiati pure loro come pericolosi subito eliminati e cementati, degli Eucalipti di collina Sant’Antonio indicati come pericolosi e tagliati, sradicati e ridotti in ceppi. Il Pino, certificato di pericolosità alla mano, doveva essere eliminato! Oppure, per evitare che divenisse un eroe, una vittima dell’attuale governo cittadino, per lo meno mutilato, ridotto a un mortificante moncherino, simbolo di un passato di cui i contemporanei dovevano dimostrare di avere il potere di modificare a piacimento nonostante i mugugni via social. Un esperimento socio-politico? Ma sarà veramente riuscito? E per eliminare il rischio di rancori popolari quali provvedimenti ci si appresta a prendere per sfoltire la schiera dei troppi pro-pino? Basterà una bella intervista compiacente?
Il Pino politicamente sfortunato
Che volendo poteva essere salvato, con le possibilità ingegneristiche offerte nel secolo dell’architettura avanzata, dei ponti sullo stretto, del %G e del 6G, dell’intelligenza artificiale e degli invasivi satelliti «starlink»: questo è sicuro. Che fosse perfettamente in salute lo si è visto dai tronchi tagliati, lacrimavano verdissimi e fatti precipitare sul sottostante giardino che è stato così completamente distrutto degli ultimi arredi. Che meritasse di essere risparmiato con una energica potatura per aver consolato lo sguardo degli ammalati dell’Agp e aver fatto ombra agli anziani: è più che certo. Il problema che «forse» è capitato male. Nel momento politico sbagliato. Si, perché il Pino è comunque un albero identitario: rappresenta l’italianità, la storia patria, come anche qualcosa di molto meno sbandierabile oggi.

Parliamoci chiaro: a una politica locale di un Comune che vende lo Storico Incontro a tanto al chilo agli altri comuni vicini, rinnegando la verità storica della univoca ubicazione della stretta di mano, cosa volete che possa rappresentare una pianta di Pigne solo quasi secolare? Il Pino, infatti, si diffuse proprio con l’Unità d’Itala, garibaldina e sabauda. A fine Ottocento siamo già a qualcosa che ricorderanno in tanti: la festa dell’Albero: si piantava un Pino (che già i romani consideravano sacro…) e si celebrava l’Unità d’Italia. Nelle stesse scuole entrò come poesia. Chi non ricorda la pioggia nel Pineto di Gabriele D’Annunzio. «Ascolta. Piove dalle nuvole sparse. Piove su le tamerici salmastre ed arse, piove sui pini…».
Il Pino passaguai: da simbolo unitario a vessillo del ventennio
Certo, oltre che simbolo dell’Italia unita – per come si sono evoluti i fatti – il Pino s’è tirato addosso un grosso guaio, diventando il simbolo dell’Italia fascista. Il fascismo, infatti, si impadronì di quella pianta. L’Italia del fascio potenziò la festa dell’albero, fece piantumare Pini dappertutto, sui luoghi delle colonie estive che i padri dei sidicini di oggi ricorderebbero bene, nelle paludi da bonificare rilette a scuola nei libri di storia VEDI VIDEO STORICO. Tanto che è possibile ritenere che questa associazione d’idea «Pino/Fascismo/destra storica» benché non apparsa sulle schede elettorali sia sopravvissuta fino ai giorni nostri. Per chi non dovesse ancora essere convinto che il Pino sia roba di destra vanno ricordate certe strane «coincidenza» di cognomi di rappresentanti della destra storica e nostalgica, come Pino Rauti, Pinpo Romualdi e Pino Tatarella passato sui giornali come pinuccio.
Per non rischiare di essere denunciati per apologia di fascismo sarà meglio precisare che come gionale ci stiamo mettendo dalla parte della natura e del diritto di ripercorrere la storia, esaltando il Pino dell’Ospedale come simbolo del verde trascurato per decenni e poi stroncato quasi per cancellare le tracce di un vergognosa incuria istituzionale. Ne parliamo pur non essendo grandiosi agronomi ma solo giornalisti quarantennali e avendone comunque facoltà, per oltraggio verso gli imbavagliatori di professione e per puro istinto difensivo verso la parola. E se lo accostiamo al «Rito Silvano» è per dovere verso la storia e la cronaca dei fatti.
Da qui la liceità della domanda che tormenta i teanesi da qualche settimana. Eccola: anche solo come simbolo non del fascismo ma patriottico e ottuagenario elemento dello «skyline» della città, del suo panorama, lo si poteva tecnicamente risparmiare, oppure è meglio che sia stato abbattuto e ridotto a un nanerottolo? E adesso, che ne facciamo? É vero che c’è chi lo vorrebbe venerare come il vitello d’oro del popolo sbandato di Mosè e chi propone di utilizzarlo come supporto ligneo per una bella statura di gesso che non si sa dove mettere? Staremo a vedere che accade, sperando di non toccare il fondo come al solito: con una soluzione ridicola.
Come l’ultimo gerarca fascista
Il paradosso ideologico del Pino (abbattuto in pubblica piazza manco fosse l’ultimo gerarca fascista) e brandito ad oltranza come improbabile e occasionale bandiera ecologista, si scioglie come neve al sole se dall’altra parte c’è chi sventola la relazione tecnica dell’agronomo di turno, pagato dal comune per l’incarico ricevuto. Ma nessuna relazione tecnica anche del migliore scienziato del mondo potrà mai imbavagliare la gente, il popolo, l’opinione pubblica, la critica politica anche spicciola ma che non deve dar conto a nessuno, il chiacchiericcio che è sempre fastidioso quando colpisce i padroni del fuoco, la plebe che osa dire la sua e la stampa non asservita. Aver parlato del Pino, aver espresso la propria opinione è stato un buon allenamento, un esercizio di democrazia. Magari accadesse la stessa cosa su altre questioni, su fatti che riguardano la conduzione politica della città, sulle tasse e sulle altissime imposte comunali, sulle scelte urbanistiche, sul Piano urbanistico comunale in ritardo, sulla minaccia del mega impianto rifiuti che vuole la nostra terra, la nostra aria e nostra acqua.
Un Popolo parlante

E quando una cosa non piace e non è platealmente gradita: non piace e basta. Non ci sono luminari e articolisti che bastino e che per puro spirito di contraddizione invocano il silenzio generale per presunta incompetenza accademica del popolo parlante e tartassato, che si vorrebbe anche silente. Anche perchè le tantissime lamentele della gente, il dispiacere popolare transitato suoi social e su questo giornale con migliaia di messaggi di adesione un suo effetto devono averlo avuto. E già. Se non negli inflessibili amministratori pubblici per lo meno sulla sorte imponderabile. Col tempo ne sapremo di più. Intanto, anche se è poca cosa, quasi una presa per il naso, del nostro Pino restano tre metri di tronco. Forse non lo si voleva far assurgere a vittima, ad eroe sacrificale che nessuno avrebbe mai più dimenticato. Fatto sta che di quel Pino resta quasi un simbolo fallico, un dito medio alzato per aria al centro del parco distrutto ai piedi di un’altra vergogna della politica locale: il chiuso Ospedale cittadino. E rimane rimane nell’aria un messaggio a chi osserva suddiviso in tre frasi non dette: questo è (se vi pare). Chi si contenta gode. E poi, non dite in giro che non siamo ecologisti convinti; razza di sobillatori che non siete altro.